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La sposa americana. Mario Soldati


Devo dire che qualche volta mi devo ricredere sull’utilità degli ebook. Io che ho già messo praticamente da parte il tablet, dato che leggere senza carta tra le mani è come fare sesso virtuale, devo dire che trovo on line un’offerta enorme, anche gratis, o quasi. Questo mi consente di saggiare, quindi di decidere cosa effettivamente acquistare.

Adesso ho “per le mani” questo ebook che ricordo di aver letto tantissimi anni fa, quando mi affidavo a ciò che c’era in casa da leggere e le librerie non erano ancora diventate il posto per me più bello al mondo (solitudine, tanti libri, silenzio). La copertina è esattamente come quella qui sopra.

Cosa c’era da leggere? Nella mia famgila non è che ci fossero – altri – divoratori di libri, solo che mia madre aveva un’attività in centro, accanto alla libreria più antica della città. Quando questa traslocò in un negozio molto più grande, svuotò i magazzini di una miriade di vecchi libri ingialliti e mia madre ne portò a casa centinaia. In effetti c’era una libreria molto spazionsa in soggiorno riempita quasi esclusivamente con angioletti, piccoli vasi e qualche album di fotografie. Ad un tratto avevo a disposizione libri di ogni tipo: dal saggio epico al romanzo, da Kundera a Levi, dai promessi sposi in edizione antichissima e illustrata a Il giovane Holden. Fece gioco una piccola operazione che mi costrinse tuttavia a letto per un lungo mese, in ospedale e a casa.

Tra quei libri c’era anche questo, La sposa americana che mi ha lasciato un ricordo offuscato da chissà quanti milioni di parole che lessi successivamente. Mi capita si, di trovarmi davanti ad un libro che ho sicuramente letto, tanto che me ne ritrovo in bocca il sapore, preciso, precisissimo, ma altrettanto annebbiato. Non mi ricordo gran che del storia che vi si narra, delle vicende e nemmeno molto bene dei personaggi. Ricordo solo che lo trovai splendido.

Forse non ci voleva molto per impressionare una lettrice in erba, ignorante, adolescente e piuttosto disadattata. Ecco perchè adesso non vedo l’ora di rileggerlo e di sorprendere magari qualche ricordo riaffiorare come un pesciolino che salta su improvvisamente. Ma si, qualche pagina me la concedo in pausa pranzo…. con il tablet naturalmente. (Tanto sono sicura che il libro è rimasto in quella libreria, a casa di mio padre).

Da La sposa americana. Mario Soldati
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Pregare o fingere di pregare come avevo visto fare tante volte da uno sposo durante la cerimonia? Ma già il vecchio sacerdote sillabava la formula sacra e definitiva. Pochi attimi dopo era il momento del Sì.
E, in quel momento, mi voltai.
C’erano pochissimi invitati: compresi i testimoni e mia madre, solo sette. Perciò, voltandomi, mi accorsi dei due in più: di Vaclav e di lei, arrivati quando ormai avevamo rinunciato ad aspettarli, arrivati in tempo, e forse, per me, sarebbe stato meglio… Sciocchezze, superstizioni retrospettive! Vaclav, lo conoscevo di già. Ma Anna, la vidi per la prima volta in quell’istante. Ecco, posso dire soltanto questo: se fossero arrivati un istante dopo, forse avrei pronunciato un vero Sì, pensandoci: mentre invece pensai a lei, che finalmente avevo vista.
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Chissà perchè…

… passo ormai così poco tempo tra i blog. Mi piaceva tanto. Io che anni fa scoprii per caso che esistevano e che, grazie ad un collega paziente, capii come aprirne uno. E’ l’effetto allontantamento dalla rete frutto del rutto dei social.

Ci passo perchè mi fa un servizio simile all’rss. Si perchè almeno ho tutto su una “pagina”.  Poi mi sono stancata pure di questo e ora navigo nel limbo, piu che in rete.

Sono anche diventata un po apatica, dato ch enon mi va gran che di leggere cazzate di tutti coloro che credono che la libertà di accesso alla rete e a un qualsiasi “palcoscenico”, non è che da diritto a scrivere la propria opinione. Ma l’ego della gente deve essere davvero enorme. Lo dico con grande invidia, dato che a me l’hanno fatto piccolino piccolino.

Cmq, ho deciso che tra le vagonate di cose in sospeso ancora da fare, ci piazzo anche ricominciare a scrivere e cazzeggiare tra i blog.

Ne ho appena aggiunto uno tra i following. Mi è piaciuto moltissimo un post cui sono arrivata proprio da fb 🙂 Si intitola Tutti dottori e sta qui


Facebook on the wall

Feibuk on the wall -1

Questo volantino l’ho fotografato stamattina. Era appeso all’ingresso di una scuola superiore. Questo è solo uno dei tanti appesi, ce ne sono altri e con contenuti differenti.

Questo mi sermbava il più emblematico.


Niente Vittorini, ma Volo si?

Leggo quasi ogni domenica l’inserto de Il Corriere della Sera, La Lettura.

Alcune settimane fa mi sono imbattuta in un articolo che trattava di studenti e nuove tecnologie, forse perchè il ministro aveva buttato lì che ci voleva il tablet in classe. Voglio dire, la tecnologia deve essere presente ovunque? Non so, io credo di no. Cmq, detto questo, ci tenevo a proporre un piccolo richiamo ad un’intervista a Duccio Demetrio, docente di Filosofia dell’educazione all’Università Bicocca di Milano

Fa notare che “la deconcentrazione continua è una vera patologia: i ragazzi sono sottoposti a ripetuti attraversamenti di altri linguaggi”.
Poi aggiunge: “nelle scuole superiori le occasioni per avvicinarsi alla lettura vengono affidate ai programmi tradizionali che oltretutto, per quanto riguarda la letteratura, non comprendono il mondo contemporaneo, quello che potrebbe interessare di più gli studenti. Perché non far leggere Ammaniti o la Tamaro o anche Volo? Perché non studiare iniziative semplici che coinvolgano gli studenti e i testi in modo attivo? Insomma dovremmo interrogarci su che cosa viene proposto per creare un’abitudine alla lettura”.
A me queste interviste fanno paura: voglio dire, niente D’Annunzio ma Ammaniti?

Niente Pavese, Montale, Svevo o Vittorini, ma Fabio Volo che è più semplice?

Con questo Demetrio, alla fine, un caffè lo prenderei, quanto meno perchè poi ci mette una pezza: “la lettura richiede solitudine, silenzio, ritorno alla propria intimità mentre la caratteristica delle nuove generazioni sembra invece il bisogno di relazionalità, di confronto pubblico”.

 

L’articolo: Spegnete sms e tablet, i ragazzi non sanno leggere. link.


Come il libro sta all’ebook…

Stefano Montefiori dalle pagine del Corriere ieri parla di pertesa. Si, quella dell’83enne Milan Kundera che dice: “quel che mi sta a cuore in questo momento è una cosa più concreta: la biblioteca. Parte da questo Kundera per giustificare la sua “pretesa”, come la definisce il giornalista.

Partiamo dall’inizio, a giugno è stato conferito allo scrittore francese di origine cecoslovacca  un premio alla sua opera omnia conferitogli dalla Biblioteca Nazionale di Francia. Nel breve discorso a porte chiuse che lo scrittore pronuncia in occasione del conferimento del premio, dice: “non ho alcuna voglia di parlare di letteratura, della sua importanza, dei suoi valori”. Poi aggiunge “questa parola dà al premio che avete la bontà di accordarmi una strana nota nostalgica, perché il nostro tempo comincia a mettere i libri in pericolo. È a causa di questa angoscia che, da molti anni ormai, aggiungo a tutti i miei contratti, in qualsiasi Paese del mondo, una clausola in base alla quale i miei romanzi non possono essere pubblicati che sotto la forma tradizionale del libro. Affinché li si possa leggere solo su carta, non su uno schermo».

L’autore del famoso ‘L’insostenibile leggerezza dell’essere” di “Lo scherzo”, “Il valzer degli addii” e “amori ridicoli, per citarne qualcuno, ha il diritto di scegliere come viene divulgata la sua opera? La pretesa è qualcosa di anacronistico? Davanti alla tecnologia e alla sua forza centripeta di inghiottirci nelle scelte obblgate del “progresso”, cede il passo anche la volontà di un creatore, di uno scrittore che non vuole che le sue parole (come pezzi di lui) non finiscano su uno smart phone, tra le notifiche di sms, social network e via dicendo?

E’ così fagocitante l’era della comunicazione? Non è più l’era delle libertà?

“Voglio che i miei romanzi restino fedeli al libro per come lo conosco dalla mia infanzia. Fedeli al libro, e alla biblioteca”, parola di Milan Kundera.

Mi piace leggere queste convinzioni, mi piace perchè mi consola, perchè le condivido. Mi piace sapere che per qualcuno, e siamo in tanti, il libro è da possedere, conservare su uno scaffale per poterlo guardare, carezzare, risfogliare dopo un giorno, o dopo anni.

Matteo B. Bianchi, scrittore, tempo fa disse che: “Io sono un lettore di e-book. Lo sono per scelta in alcuni casi e per costrizione in altri. Continuo a preferire il cartaceo quando la lettura è un piacere. Quando il libro non solo lo voglio leggere, ma possedere e conservare alla fine della lettura, posizionarlo su uno scaffale della libreria che ho di fronte a me quando scrivo e ritrovarne il dorso colorato quando alzo gli occhi dalla tastiera. Io nei libri un po’ mi ci specchio. Sono questi libri che ho di fronte che mi hanno cresciuto e formato, è a loro che devo molto di ciò che sono. Della loro presenza fisica io sento la necessità”.


Qui, ciò che conta è poter dire alla fine: zitti tutti, lo ha detto la Rete. La fonte di democrazia suprema. Poco importa se poi quella Rete non esiste e quella che viene spacciata per iperdemocrazia dal basso è una democrazia rovesciata, cioè una illusione di democrazia, che procede dall’alto verso il basso, come il «centralismo democratico» dei partiti comunisti (il comitato centrale nominava la direzione e questa i membri dell’assemblea, anziché il contrario). Poco importa, infine, se l’intera realtà e quindi anche gli esseri umani sono considerati soltanto un unico, grande sistema informativo, una Rete di reti – questo il nuovo dogma – in cui ciò che rileva sono i numeri, la folla, anzi l’ideologia della folla, disancorata dalla realtà reale perché ormai completamente e fideisticamente immersa in quella virtuale.

Il Blog di Carlo Vulpio

Tutto sommato dobbiamo esser grati all’esplosione pervasiva della «realtà virtuale», perché può farci tornare a capire e ad apprezzare la indispensabilità della «realtà reale». Soprattutto in quella parte della sfera pubblica – la politica – in cui si vuol dare a credere che la Rete e tutto ciò che è virtuale sia la Verità, la Luce, la Via, e dunque sia sinonimo di migliore democrazia, più ampia partecipazione, vera trasparenza, perfetto meccanismo di checks and balances, controlli e contrappesi. Quando invece è vero tutto il contrario.
Questa convinzione – che tuttavia non è il frutto di una furia iconoclasta anti Internet, quanto piuttosto della disillusione di chi in buona fede aveva creduto in un sogno – si sta radicando con sempre maggiore forza non solo tra gli spiriti più critici e gli studiosi più attenti e disinteressati della Rete (Evgeny Morozov, Andy Clark), ma anche tra quegli stessi…

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